Continuo a pensare che aumentando la distanza, la tecnica, lo stile, il carattere possano prevalere e fare giustizia di pregiudizi e furbate. Mi riferisco in particolare alla marcia, ma non escludo la corsa. Tentai di convincere Primo Nebiolo della opportunità di inserire gare di maggiore distanza nel programma olimpico, ovviamente riferendomi alla marcia e alla corsa. Allora ero responsabile del Settore Amatori della FIDAL e mi ero fatto l’esperienza delle “cento chilometri” e delle “supermaratone”, come gare dall’esito imprevedibile, affascinanti, riverberanti il mito di Fidippide, una per tutte quella del “Passatore”, da Firenze a Faenza. Fu così che nel 1983 arrivai ad organizzare io stesso, con l’AICS e la Federatletica, la Supermaratona dei Nuraghi: 254 chilometri da Cagliari a Sassari, passando per Oristano. Per la marcia mi sono dovuto invece fermare ai racconti, alle memorie e da ultimo al libro dell’inossidabile amico Carlo Monti “Cento anni di Cento chilometri”, una delle gloriose iniziative de “La Gazzetta dello Sport”, quando faceva fermare Milano per gli eroi del “tacco punta” o alla Londra Brighton con gli approfondimenti storici di Martini, Cimbrico e dello stesso Pamich (Memorie di un marciatore) quando i personaggi e i vincitori erano Donato Pavesi, Ugo Frigerio, Pino Dordoni, Don Thompson e lo stesso Abdon Pamich, che si era scoperto podista andando a piedi da Fiume a Milano, come profugo istriano. Ecco, lo confesso, l’idea della resistenza allo sforzo prolungato mi sembra fortemente simbolica, mi coinvolge, perché davvero simile allo svilupparsi della nostra esistenza, piena di incognite e con l’idea di raggiungere il traguardo mai…
Cento chilometri di gloria
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