o già scritto più volte del Flaminio. Adesso se ne riparla come di un " incurabile " e la diagnosi è di Renzo Piano.
Scusatemi, ma oggi mi sento di dedicare a quello Stadio - che fu anche nei pensieri di De Coubertin nel tentativo di portare già nel 1908 il Giochi Olimpici moderni a Roma - una mia poesia. Sì, perché estrema ratio, mi sembra l'unico modo di rendere l'onore del sentimento ad un luogo che è stato la culla dello sport italiano, comunque impianto olimpico nel 1960, che per quello che ha rappresentato e dato non meritava un simile trattamento...
Esce l’urlo a perdifiato
Renzo Piano l'ha decretato
Il Flaminio è condannato
Con color che l'han creato
La sua fine è davver certa
Con la ruggine ovunque asperta
spenta si è ogni energia
Sugli spalti e pure in campo rottami e cardi a far da spia
Non più cori e battimani
Stravociare di cristiani
Ma passate moltitudini di umani assenti
Occhiaie vuote e mute voci ottundenti
Non più incrociar di lame e colpi di pallone
Ritmar nell'acqua e schioccare del guantone
More greco fu la forma
Centosei le primavere a norma
Prima il regno poi il fascio
Con la Repubblica lo sfascio
Nazionale e pur Fascista
Del Torino grande nominale
Da Piacentini a Nervi la nobiltà pur fece male
Dentro il CONI grande vita
Poi dal Campidoglio la mortal ferita
Quando la palla divenne ovale
Ricordasti la tua virtù mondiale
Giusto con l’Italia e la Franza
Venne con l’Inno Fair Play la tua sentenza
Trentasei per mille furon testimoni
Le Matite coloraron per sempre i tuoi gradoni
Dopo sei anni di totale abbandono
Della dinamite tornerà il tuono
Come per l'Olimpico Velodromo
Di cui abbiam inteso il prodomo
Con Nobel si compirà il destino
Poi tornerà il silenzio e sotto il Parioli mai più l'agonistico casino.
Lo stadio perduto
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